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Fine superiori - ingresso università: il periodo più difficile




L'isolamento di un hikikomori può concretizzarsi in qualunque fase della vita. Esistono, tuttavia, alcuni momenti della vita particolarmente critici da questo punto di vista:

- il passaggio tra le scuole medie e le scuole superiori;
- il periodo tra la fine delle scuole superiori e l'ingresso nel mondo del lavoro/università. 




È NECESSARIO UN ATTEGGIAMENTO PROATTIVO



Le scuole medie e superiori sono spesso vissute come un obbligo, come un qualcosa che dobbiamo fare anche se non ne abbiamo voglia. Per questo motivo molti hikikomori riescono a raggiungere il diploma, nonostante il grande disagio e la grande sofferenza sperimentata quotidianamente nel contesto scolastico, nelle relazioni con i coetanei e con gli insegnanti.

L'università (o la ricerca di un'occupazione), al contrario, richiede uno sforzo diverso, una forte motivazione intrinseca, perché non basta "stringere i denti" e trascinare una situazione già esistente: adesso la strada bisogna cercarsela e costruirsela da soli.

Qui possono insorgere diverse insidie, quali per esempio, la confusione sulla via da imboccare e percorrere, la quale ci appare come una scelta profondamente vincolante rispetto al proprio benessere attuale e futuro. Oppure una difficoltà organizzativa, non sufficiente per completare un processo lungo e autogestito come quello universitario, nonostante le potenzialità intellettive all'altezza. O ancora una ricerca della perfezione che porta a una dicotomia mentale caratterizza dal tutto o niente.

Le difficoltà possono essere innumerevoli e possono trasformare questo periodo della vita, spesso inteso come un momento fondamentale di decollo verso la propria realizzazione sociale, in una palude dalla quale più si cerca di uscire, e più la pressione su di noi aumenta facendoci sprofondare.

LA STORIA DI JUN



A tal proposito vorrei riportare la storia di Jun, un hikikomori giapponese (tratta dal libro di Michael Zielenziger "Non voglio più vivere alla luce del sole"):

"Durante quasi tutti gli anni Novanta, Jun si sente perso, solo. Diciottenne, volendo studiare filosofia, fa il test di ammissione in un'importante università pubblica, ma non ottiene un buon risultato. Il fatto di non essere ammesso distrugge la sua fiducia in se stesso. [...] Jun sceglie di non abbandonare il suo sogno di frequentare un'università prestigiosa. Diventa invece un ronin, termine [...] che nel Giappone moderno denota uno studente che, essendo stato bocciato al test d'ingresso, studia da solo per un anno intero (o magari di più) per poi tentare nuovamente.
Jun si impegna a fondo per circa sei mesi, concentrandosi sui suoi studi di riparazione. Poi, però, perde la determinazione.
[...] Pian piano, all'inizio in modo impercettibile, Jun comincia ad andare alla deriva nel proprio mondo. Diviene sempre più alienato da quello che considera un duro e controllato universo fuori dalla sua porta. Per mantenere la sua individualità, si tiene in disparte.

Come il tipico giovane giapponese, Jun vive in una casa piccola insieme con i suoi genitori, entrambi agopuntori con intensi orari di lavoro. Le stanze strette e la mancanza di intimità esasperano i rapporti già tesi. «Quando ero a casa, non riuscivo proprio a rilassarmi» dice Jun. «I miei genitori erano sempre tremendamente nervosi. Non sono mai andato tanto d'accordo con loro. La nostra era una famiglia rigida, e i miei genitori non sono mai riusciti a comunicare né tra di loro né con me. La casa era piccola, e quando vivevamo lì tutti insieme mi pesava la presenza degli altri. Anche se io avevo la mia camera al secondo piano, avvertivo sempre la presenza dei miei genitori, li sentivo dormire, tossire, respirare. Mi sembrava davvero di soffocare. [...] Sentivo di avere qualche problema dentro di me, ma non sapevo cosa fosse. Mi rendevo conto che anche la mia famiglia aveva dei problemi, ma anche qui non sapevo di cosa si trattasse. [...] Adesso mi rendo conto che a casa mia mancava l'intimità [...]».

A intervalli di tre o quattro settimane, Jun si chiude in casa, barricandosi in camera per non vedere i suoi genitori, senza uscire mai. La cena gli viene messa su un vassoio e lasciata fuori dalla porta della stanza. [...] Jun comincia a invertire il giorno e la notte, troncando i rapporti con le realtà sgradite al di fuori della sua piccola camera da letto. Spesso dorme fino a pomeriggio inoltrato, poi durante le ore notturne di veglia si mette a leggere libri di filosofia o a guardare la televisione [...].

«Fondamentalmente pensavo di essere in grado di uscire in qualsiasi momento, ma la realtà era che alla fine non lo facevo" mi dice Jun «Non lavoravo. Sapevo che se fossi uscito anche solo un momento, i vicini mi avrebbero visto e si sarebbero chiesti come mai un ragazzo di quell'età non lavorasse»"


LA VERGOGNA, IL FALLIMENTO, MA NON SOLO



Negli hikikomori è spesso evidente una componente narcisistica. Nella maggior parte di casi parliamo infatti di ragazzi molto intelligenti, con un'alta concezione di sé. Quando questa immagine si scontra con gli inevitabili fallimenti della vita reale, la ferita che può venire a crearsi è talvolta così profonda da innescare reazioni estreme. Per questo motivo, la vergogna e la paura di essere giudicati per i propri fallimenti giocano spesso un ruolo rilevante nella scelta del ritiro.

Tuttavia, appare evidente come la vergogna non sia la sola causa di isolamento nella storia di Jun. Un ruolo importante sembrano rivestirlo anche il rapporto con i genitori e, soprattutto, l'inattività. Quest'ultimo aspetto è spesso molto sottovalutato, eppure quasi sempre fondamentale. Un ragazzo con un lavoro, con un impegno scolastico, con delle scadenze, è più difficile che diventi un hikikomori. Al contrario, per chi ha già una tendenza all'isolamento, l'inattività può essere un fattore decisivo.


QUAL È LA SITUAZIONE IN ITALIA?



La storia di Jun non è così distante da quella di molti ragazzi italiani. Che si decida di lavorare o di continuare con gli studi, l'ingresso nella "vita adulta" è sempre una passaggio molto delicato e per nulla scontato. Non a caso il numero di NEET tra i 15 e i 29 anni nel nostro paese è uno dei più alti d'Europa. I ragazzi a rischio inattività in Italia sono tantissimi.

È luogo comune considerare i vent'anni come uno dei momenti più leggeri e spensierati della vita, eppure non è così. E' una fase insidiosa in cui i ragazzi devono cercare la propria strada tra mille possibili e, qualche volta, ci si può perdere, sbagliare direzione, oppure si può rimanere fermi, immobili, senza fare nulla.


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