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"The end of NHK": come Tatsuhiko Takimoto avrebbe voluto che finisse Welcome to the NHK




Tatsuhiko Takimoto, autore di "Welcome to the NHK", ha scritto un articolo sul suo blog intitolato "The end of NHK" nel quale parla del finale del suo romanzo, esprimendo rammarico per non aver saputo, a suo dire, risolvere "il problema della solitudine" di Sato. Takimoto ci tiene a sottolineare che dall'hikikomori si può uscirne, spiegando come e perchè.






Vi riporto di seguito la traduzione integrale dell'articolo a cura di Davide Giacobbe (ringraziando la fonte originaria, ovvero pagina Facebook "Welcome to the NHK fans")


THE END OF NHK



"Sono passati più di 10 anni da quando ho scritto "Welcome to the NHK". Per me, che ne sono l'autore, è stato un romanzo maledetto, una maledizione che mi ha tormentato fino a pochissimo tempo fa. 
Dal momento in cui l'ho scritto, ho provato un senso di fallimento.

Se vi state chiedendo i motivi per cui io debba soffrire, per un romanzo che ho scritto con tutto il mio impegno, posso dire che ce ne sono diversi.
Una prima grande ragione è che ne ho tradito la storia, perché non ho potuto scrivere tutto ciò che avrei voluto scrivere. Sono rimasto impantanato per lunghi anni in questo senso di fallimento e frustrazione. 
Nel capitolo 9 di "NHK" mi sono accorto che il protagonista avverte e soffre della mia stessa tristezza. Questa è una preziosa consapevolezza.
Fino a quel momento il protagonista non aveva scrutato nella propria interiorità. Poi, ad un certo punto, scavalca questo muro che è nel suo cuore ed improvvisamente si rende conto della sua tristezza. Ciononostante, nel capitolo successivo, inizia una storia che ha completamente rimosso questo episodio di solitudine disvelata.

Il problema è che, in quella che doveva essere la solitudine del protagonista, vengono a curiosare degli sconosciuti: mi riferisco alla storia di Misaki. Questa è una fuga dal dramma personale della solitudine. Questa fuga dallo scrivere direttamente di solitudine è perciò anche una fuga dell'autore. Ho usato il "metodo della corsa" con cui sono riuscito a terminare la storia, affidandomi a come mi sentivo in quel momento. Il "metodo della corsa" è una tecnica che, avvalendosi di una sensazione emotiva di urgenza, fa "correre" i personaggi per arrivare al climax. Nell'ultimo capitolo, il protagonista corre, bisticcia, compie un po' d'azione ed attraverso ciò raggiunge la catarsi. Poi, il racconto finisce.
Invece, il problema della solitudine resta irrisolto, perché non ho scritto più niente a riguardo.
A quel tempo, non possedevo l'abilità di scrivere sulla solitudine. Anche adesso non è scontato che l'abbia. Perciò, mi chiedo se la conclusione che ho trovato fosse la migliore possibile...
Che muoiano o meno, l'indifferenza finale di Sato e Misaki è molto realistica.

Ma io non avrei voluto scrivere una storia realistica. Ad essere sincero, avrei voluto scrivere una storia piena di sogni e speranza. Se mi fossi impegnato di più avrei potuto farcela? Forse no! Ancora oggi non riesco a smettere di pensarci. 






Ho alcune considerazioni da fare su Sato nella fase finale del romanzo. Primo: la meditazione. Attraverso la meditazione si guarisce sé stessi e si ottiene la forza per riuscire a reggere il proprio mondo personale. Secondo: resistere all'autoerotismo (sic!). Terzo: intraprendere delle azioni concrete per riempire quel sentimento di inadeguatezza che lo affligge. Se sei triste, devi reagire e far qualcosa per cambiare. Tutto dipende dallo stato d'animo.

Essere in armonia, psicologicamente parlando, significa trovare da sé nuove capacità. Ecco, questa sarebbe la soluzione perfetta al problema di Sato, ma è probabilmente il momento della meditazione che non si può raggiungere. Ci vorrebbe qualcosa di diretto, un'azione per riempire il vuoto della solitudine, come ad esempio la pratica del "Nanpa".
In questo caso, poiché è probabile che non si riesca a rivolgere subito la parola a qualcuno, per prima cosa ci si dovrebbe allenare a camminare a testa alta. Probabilmente, Sato impiegherebbe 4/5 anni prima di rivolgere la parola a qualche sconosciuto della sua città. Ma, anche se lentamente, si possono misurare i propri progressi anche facendo delle piccole cose, come uscire ogni giorno e camminare a testa alta.
La cosa più importante è sapere che si può cambiare. Comunque sia, il sentiero che porta alla felicità esiste. La cosa fondamentale è proprio la speranza nella sua esistenza. 

Ma la storia di Sato che acquisisce fiducia in questa speranza avrebbe richiesto altri 5 volumi, e non mi era possibile scriverli a quel tempo. D'altro canto, in una storia non tutto deve essere diretto ad una perfetta comprensione. Nel mezzo del cammino va bene deviare e prendere una strada secondaria. E lo stesso accade con la vita.
Perciò, è forse un bene che sia andata così. E' un buon modo di concludere, dopo tutto: far sentire che c'è spazio per uno sviluppo nel futuro. C'è però una cosa che volevo assolutamente scrivere e che non ho scritto: anche se una persona si trova nella situazione descritta in "Welcome to the NHK", c'è sempre una via d'uscita. Un sentiero che conduce al lieto fine.
Approfitto del momento per dirvelo, ora: sia Sato che Misaki, così come Yamazaki e la Senpai, riescono a trovare la felicità in un lieto fine. Di sicuro l'hanno già trovata. E con loro, un nuovo mondo è già iniziato.
Quello di cui volevo scrivere, non è la debolezza degli uomini. Anche nel labirinto di un cuore confuso, per quanto una persona possa essere senza energia e sentirsi debole, alla fine troverà una via d'uscita e ritroverà se stessa.

Questo è ciò che avrei voluto scrivere. Questa convinzione che non ho espresso mentre lavoravo a "Welcome to the NHK", la scrivo qui, adesso. 

E, con questo, il mio romanzo è finalmente completo."



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