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Uno dei principali fattori di rischio, per quanto riguarda l'hikikomori, è l'allontanamento progressivo del ragazzo o della ragazza dal proprio gruppo di coetanei. Spesso gli amici, anche quelli di vecchia data, vengono rifiutati in modo apparentemente ingiustificato.
Questo può essere considerato l'ultimo step dell'hikikomori, quello più grave e dal quale è più difficile tornare indietro. Perché la solitudine genera solitudine, in un circolo vizioso che porta lentamente alla cronicizzazione.
A supporto di questa tesi vi è un recente studio condotto in Belgio che ha coinvolto 730 adolescenti.
Ai partecipanti sono state presentate due diverse tipologie di scenario:
I partecipanti che precedentemente erano stati classificati come "più solitari" hanno vissuto la situazione di esclusione sociale in modo maggiormente negativo rispetto agli altri (manifestando alti livelli di rabbia, delusione e gelosia), attribuendo tale esclusione alle proprie caratteristiche personali (aspetto, carattere, ecc.).
Ancor più interessanti, tuttavia, sono state le reazioni di questi ragazzi nella situazione di inclusione sociale (ovvero quando erano stati effettivamente invitati dagli amici). Ebbene, anche in questo caso l'entusiasmo mostrato è risultato molto basso, semplicemente perché l'invito è stato vissuto come frutto del caso o comunque legato a un secondo fine.
Questo sembra essere un meccanismo mentale che si verifica spesso negli hikikomori, ragazzi che hanno un'alta considerazione di se stessi, ma che tendono a sviluppare una forte sfiducia nei confronti degli altri (per motivi caratteriali, ma anche per aver vissuto situazioni negative, quali il bullismo).
Così, anche quando ricevono inviti spontanei e sinceri, tendono a interpretarli con sospetto, facendo pensieri del tipo: "Lo ha fatto solo perché si sentiva in obbligo, non gli interessa veramente se vengo anche io", oppure "Vogliono solo prendersi gioco di me."
In riferimento a questo meccanismo rafforzativo della solitudine, Weeks Molly, coautrice dello studio e ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia e Neuroscienze della Duke University, dice:
Il suo auspicio è anche il nostro.
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Questo può essere considerato l'ultimo step dell'hikikomori, quello più grave e dal quale è più difficile tornare indietro. Perché la solitudine genera solitudine, in un circolo vizioso che porta lentamente alla cronicizzazione.
A supporto di questa tesi vi è un recente studio condotto in Belgio che ha coinvolto 730 adolescenti.
Ai partecipanti sono state presentate due diverse tipologie di scenario:
- Scenario di inclusione sociale: "Viene inaugurata una nuova panineria in città. Alcuni dei tuoi compagni di classe ci andranno per pranzo e ti hanno chiesto se vuoi unirti a loro."
- Scenario di esclusione sociale: "Vedi su Facebook una foto di un compleanno di classe al quale tu non sei stato invitato."
I partecipanti che precedentemente erano stati classificati come "più solitari" hanno vissuto la situazione di esclusione sociale in modo maggiormente negativo rispetto agli altri (manifestando alti livelli di rabbia, delusione e gelosia), attribuendo tale esclusione alle proprie caratteristiche personali (aspetto, carattere, ecc.).
Ancor più interessanti, tuttavia, sono state le reazioni di questi ragazzi nella situazione di inclusione sociale (ovvero quando erano stati effettivamente invitati dagli amici). Ebbene, anche in questo caso l'entusiasmo mostrato è risultato molto basso, semplicemente perché l'invito è stato vissuto come frutto del caso o comunque legato a un secondo fine.
La solitudine genera solitudine
Questo sembra essere un meccanismo mentale che si verifica spesso negli hikikomori, ragazzi che hanno un'alta considerazione di se stessi, ma che tendono a sviluppare una forte sfiducia nei confronti degli altri (per motivi caratteriali, ma anche per aver vissuto situazioni negative, quali il bullismo).
Così, anche quando ricevono inviti spontanei e sinceri, tendono a interpretarli con sospetto, facendo pensieri del tipo: "Lo ha fatto solo perché si sentiva in obbligo, non gli interessa veramente se vengo anche io", oppure "Vogliono solo prendersi gioco di me."
In riferimento a questo meccanismo rafforzativo della solitudine, Weeks Molly, coautrice dello studio e ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia e Neuroscienze della Duke University, dice:
"Questi risultati ci mostrano che gli adolescenti più solitari sembrano rispondere alle situazioni sociali in modo tale da perpetuare la propria solitudine. La ricerca futura dovrebbe indagare quando e come la solitudine temporanea diventa solitudine cronica e capire come si possa intervenire per evitare che ciò accada."
Il suo auspicio è anche il nostro.