Matteo Lancini è uno psicologo e psicoterapeuta, presidente della fondazione "Minotauro" di Milano. Da anni ormai si occupa del fenomeno degli hikikomori e a da poco pubblicato un libro (intitolato "Abbiamo bisogno di genitori autorevoli") con tre capitoli dedicati al tema.
In questa intervista ho cercato di approfondire alcuni dei passaggi, a mio parere, più significativi.
Mi batto fin dagli albori di "Hikikomori Italia" affinché i due fenomeni non vengano confusi, perciò ho trovato questa sua dichiarazione particolarmente allarmante. Può spiegarci meglio quali rischi comporta tale confusione?
"[...] a oggi, la maggior parte degli adolescenti e dei giovani adulti che vengono segnalati ai servizi pubblici e privati come dipendenti da internet sono ritirati sociali (p.109)."
Mi batto fin dagli albori di "Hikikomori Italia" affinché i due fenomeni non vengano confusi, perciò ho trovato questa sua dichiarazione particolarmente allarmante. Può spiegarci meglio quali rischi comporta tale confusione?
[RISPOSTA] Innanzi tutto è per me fondamentale chiarire che le vicende emotive, affettive e psichiche di un ragazzo o di una ragazza, le modalità di affrontare e soffrire in adolescenza sono uniche, da inquadrare all’interno di una storia individuale e relazionale esclusiva, irripetibile e che merita dunque rispetto oltre ad un approfondimento specifico.
Inoltre, è importante sottolineare che la stessa definizione di dipendenza da internet è al centro di un dibattito che rende evidente quanto sia complesso individuare i criteri in base al quale un individuo, soprattutto se nato nell’epoca della diffusione delle cosiddette nuove tecnologie, stia utilizzando la Rete e gli ambienti virtuali in modo adattivo o disfunzionale.
Oggi quando si parla di dipendenza da internet, ma io preferisco parlare di "dipendenze" da internet, nessuno sa dire con esattezza a che cosa ci si riferisca, se è vero, ad esempio, che anche l’ultima versione del DSM, il manuale diagnostico psichiatrico più diffuso al mondo, non ha introdotto questa definizione tra le patologie dell’individuo. Il tempo trascorso on line, pur rimanendo un criterio importante da valutare, non rappresenta certo la variabile intorno alla quale è possibile costruire ipotesi di dipendenza in una società dove la connessione a internet è consentita 24 ore al giorno attraverso apparecchi mobili che costituiscono delle protesi dell’uomo post moderno.
Oggi quando si parla di dipendenza da internet, ma io preferisco parlare di "dipendenze" da internet, nessuno sa dire con esattezza a che cosa ci si riferisca, se è vero, ad esempio, che anche l’ultima versione del DSM, il manuale diagnostico psichiatrico più diffuso al mondo, non ha introdotto questa definizione tra le patologie dell’individuo. Il tempo trascorso on line, pur rimanendo un criterio importante da valutare, non rappresenta certo la variabile intorno alla quale è possibile costruire ipotesi di dipendenza in una società dove la connessione a internet è consentita 24 ore al giorno attraverso apparecchi mobili che costituiscono delle protesi dell’uomo post moderno.
Detto questo, come sottolineo nel mio libro, e da tempo, il ritiro sociale e la dipendenza da internet non coincidono, ma è indubbio che nel pensare e nel dire comune quando un adolescente giunge nei nostri studi o in centri pubblici accompagnato da genitori o da segnalazioni che parlano di dipendenza da internet, si tratta quasi sempre di un ragazzo ritirato socialmente o con tendenza al ritiro.
Questo perché altri utilizzi esagerati di internet che segnalano una disagio evolutivo, come ad esempio certi casi disexting o il cyberbullismo, non vengono certo considerate forme di dipendenza dalla Rete ma espressioni di disagio agite virtualmente. Anche in questo caso, spesso la vergogna e la fragilità narcisistica sono gli ingredienti alla base di azioni sconsiderate, ma alla quale si reagisce sovresponendosi socialmente. Sono diversi i modi in cui si affronta la propria sensazione di inadeguatezza nella società della popolarità, del narcisismo e del successo a tutti i costi.
Questo perché altri utilizzi esagerati di internet che segnalano una disagio evolutivo, come ad esempio certi casi disexting o il cyberbullismo, non vengono certo considerate forme di dipendenza dalla Rete ma espressioni di disagio agite virtualmente. Anche in questo caso, spesso la vergogna e la fragilità narcisistica sono gli ingredienti alla base di azioni sconsiderate, ma alla quale si reagisce sovresponendosi socialmente. Sono diversi i modi in cui si affronta la propria sensazione di inadeguatezza nella società della popolarità, del narcisismo e del successo a tutti i costi.
Quindi, in sintesi, ritiro sociale e dipendenza da internet non sono assolutamente la stessa cosa, ma nella comunità scientifica ci sono visioni molto diverse su cosa sia la dipendenza da internet e anche il ritiro sociale, due definizioni ancora troppo recenti e sulle quali dovremo essere in grado di approfondire il confronto. Basti pensare che ad alcuni la definizione ritiro sociale non piace perché non presente nei manuali diagnostici più diffusi.
"Il ritiro scolastico e sociale rappresenta, in qualche modo, l'equivalente maschile del disturbo della condotta alimentare femminile (p.111)."
Questa affermazione lascia intendere che l'hikikomori sia un qualcosa che riguarda esclusivamente i maschi, eppure, sembra che in Italia (rispetto al Giappone) il numero di hikikomori femmine non sia così minoritario. Osservando la distribuzione di genere nel gruppo genitori e nella chat dedicata ai ragazzi, io ritengo che la percentuale di hikikomori donne sia realisticamente vicina al 30%.
Qual è il suo parere a riguardo?
[RISPOSTA] In questo momento sto conducendo una ricerca sul ritiro sociale femminile perché è indubbio che sia importante approfondire anche le specificità di un ritiro sociale femminile rispetto a quello maschile. A mio avviso abbiamo compreso meglio alcune caratteristiche del ritiro sociale maschile rispetto a quello femminile perché abbiamo incontrato un numero maggiore di adolescenti e giovani adulti maschi che avevano scelto la strada dell’autoreclusione domestica. Detto questo il primo caso di ritiro sociale che ho seguito nella mia esperienza di psicoterapeuta è stato quello di una ragazza e penso che in effetti in Italia, anche confrontandomi con i colleghi del Minotauro e di altri servizi che seguono ragazzi ritirati, ci sia un numero consistente e, probabilmente, crescente di adolescenti femmine con tendenza al ritiro.
Rispetto al ritiro sociale femminile, ad esempio, ho notato un diverso uso, nella maggior parte dei casi, di internet e dei social network rispetto a quello fatto dai maschi. La percentuale che lei indica ritengo sia abbastanza realistica, anche se a convegni o in attività formative e di supervisione che ho svolto insieme a colleghi che lavorano in servizi psicosociosanitari pubblici, mi è parso che alcune ragazze ritirate avessero in realtà dei tratti che lasciavano pensare a forme più franche di psicopatologia piuttosto che a un ritiro sociale vero e proprio. In questo senso, ribadisco quello che ho già sottolineato all’inizio di questa intervista: ogni adolescente o giovane adulto ha una sua storia unica ed è prima di tutto una persona e non la sua diagnosi.
Quando sostengo che il ritiro scolastico e sociale rappresenta, in qualche modo, l'equivalente maschile del disturbo della condotta alimentare femminile, intendo sottolineare come il ritiro sociale manifesta, in modo evidente e drammatico, le difficoltà incontrate dalle nuove generazioni nella costruzione dell’identità di genere maschile così come il disturbo della condotta alimentare ha segnalato, già da tempo, tutta la complessità del percorso di definizione e costruzione dell’identità di genere femminile nelle odierne comunità occidentali. E’ indubbio che conciliare diverse tensioni, all’interno di una società complessa e competitiva, non è certo un’operazione facile per chi si trova ad affrontare i compiti evolutivi dell’adolescenza e, in particolare, il processo di mentalizzazione del nuovo corpo, portato in dotazione dalle trasformazioni proprie di questa fase dello sviluppo.
Da una parte la ragazza anoressica, che, come è noto, attacca il corpo naturale, sino a negare il bisogno di cibo e la manifestazione mestruale, ma è particolarmente agguerrita sul piano sociale, nutrendo la mente e studiando moltissimo, fino a sbaragliare qualsiasi concorrente in termini di successo scolastico. Dall’altra parte il ragazzo ritirato, un giovane maschio molto intelligente che abbassa lo sguardo e si ritira da qualsiasi competizione scolastica, relazionale e sociale, conducendo una vita domestica. Stressando i due prototipi ritengo non casuale che una delle forme di disagio evolutivo femminile più diffuse nella società odierna coinvolga drammaticamente il corpo naturale ed esasperi la competizione sociale, mentre l’equivalente maschile più attuale si esprima attraverso una drastica ritirata dal piano sociale a quello domestico.
"Per sopravvivere, l'adolescente ritirato si rifugia in internet. Non tutti ci riescono e, come vedremo, il mancato utilizzo di internet è una condizione diagnosticamente sfavorevole (p. 114)."
"[...] La Rete come incubatrice psichica virtuale, tiene la mente al riparo dalla vita reale, senza tuttavia annullarla del tutto, come avviene invece nel delirio psicotico (p.115)."
"[...] i dati clinici ci hanno spinto a individuare, per quanto concerne il ritiro sociale nell'adolescente maschio, un continuum nel quale da un lato, come fattore prognostico negativo, vi è l'assenza di qualsiasi attività in internet, seguita dall'utilizzo della Rete senza alcun contatto con gli altri [...], e dall'altro, come fattore prognostico positivo, vi è l'impegno in giochi virtuali collettivi e il mantenimento di relazioni con i coetanei online (p.117)."
Ho trovato questo passaggio particolarmente interessante, perché si contrappone drasticamente a quella che è la concezione ingenua dell'hikikomori nel nostro paese.
Eppure, è innegabile che un isolamento prolungato possa favorire lo sviluppo di una dipendenza con il web. Quanto spesso le capita di avere a che fare con hikikomori che sono ANCHE dipendenti da internet? Come cambia l'approccio clinico in questi casi?
[RISPOSTA] Dalla mia esperienza, in linea di massima, la severità del ritiro sociale è da valutare anche in base all’utilizzo che l’adolescente fa della Rete. Come ho già accennato esistono diversi utilizzi dell’ambiente internet che esprimono, in alcuni casi, anche diverse dipendenze da internet. Il ritirato sociale più severo non utilizza in alcun modo la Rete, altri la utilizzano esclusivamente alla ricerca solitaria di informazioni, altri, infine, riescono a giocare e a restare in comunicazione con i coetanei attraverso la Rete stessa.
Semplificando di molto la questione, si può dire che un adolescente che trascorre le giornate in solitudine, caricando la mente di informazioni raccolte in una navigazione spasmodica in Rete, segnala un funzionamento più grave di un adolescente che attraverso l’avatar gioca e si relaziona in cuffia con dei coetanei. Nessuno può dire se il fenomeno del ritiro sociale si sarebbe diffuso, in Giappone come in Europa, senza la presenza di internet, ma quello di cui sono certo è che non è internet a catturare l’adolescente e a non consentirgli di vivere la propria quotidianità scolastica e sociale.
I ritirati sociali se non riescono a mantenere in vita processi di simbolizzazione e relazionali attraverso l’avatar e i compagni della Rete, possono segnalarci anche un rischio più grave di sviluppare forme franche di psicopatologia. Il ritirato sociale non è un soggetto psicopatologico ma un adolescente che affronta una grave crisi evolutiva. Internet rappresenta, in molti casi, una prima forma di autoricovero, un disperato tentativo di segnalare il proprio disagio ma anche di mantenere un contatto con la realtà, mediato dallo schermo e dalle tante possibilità di internet. Togliere immediatamente la console e il collegamento a internet non è una buona operazione, come ben sanno anche i genitori più disperati, affascinati inizialmente dalle sirene di una disintossicazione forzata e fulminea, che ben presto si rivelerà inutile, anzi, quasi sempre, dannosa per il già precario stato psichico del figlio rifugiatosi in casa.
Per prima cosa, dunque, il lavoro clinico con l’adolescente ritirato richiede una forte alleanza e colloqui con la madre e con il padre, nonché un approfondimento della vita virtuale, della narrazione di sé e delle proprie peripezie personali e relazionali che trasudano dall’esperienza in Rete, l’unica possibile per un adolescente che si è ritirato da tutti gli altri scenari ma che ha comunque molto da dire e da raccontare di sé e di come sta soffrendo.
Questo è quello che io chiamo un atteggiamento psicoterapeutico che si allea con il sintomo del paziente. Successivamente, se il lavoro clinico procede secondo le linee guida che ho elencato e approfondito nel mio libro, e se si riesce a stare meglio, la vita virtuale riuscirà ad essere affiancata da un progressivo ritorno alla vita fuori dalla stanza e dalle mura domestiche.
Nel libro è evidente che, nella maggior parte dei casi, questo "fattore precipitante" avviene in un contesto scolastico. Allora mi chiedo: quali azioni possono mettere in atto insegnanti e dirigenti per prevenire questo tipo di evento? Oppure è impossibile prevederlo?
Per prima cosa, dunque, il lavoro clinico con l’adolescente ritirato richiede una forte alleanza e colloqui con la madre e con il padre, nonché un approfondimento della vita virtuale, della narrazione di sé e delle proprie peripezie personali e relazionali che trasudano dall’esperienza in Rete, l’unica possibile per un adolescente che si è ritirato da tutti gli altri scenari ma che ha comunque molto da dire e da raccontare di sé e di come sta soffrendo.
Questo è quello che io chiamo un atteggiamento psicoterapeutico che si allea con il sintomo del paziente. Successivamente, se il lavoro clinico procede secondo le linee guida che ho elencato e approfondito nel mio libro, e se si riesce a stare meglio, la vita virtuale riuscirà ad essere affiancata da un progressivo ritorno alla vita fuori dalla stanza e dalle mura domestiche.
"L'aspetto fondamentale del ritiro sociale è il crollo dell'ideale infantile di fronte alle trasformazioni corporee, psichiche e relazionali del soggetto in adolescenza. Come abbiamo visto, nella mente dell'adolescente ritirato è sedimentato un avvenimento, un evento, una situazione che abbiamo definito fattore precipitante (p.124)."
Nel libro è evidente che, nella maggior parte dei casi, questo "fattore precipitante" avviene in un contesto scolastico. Allora mi chiedo: quali azioni possono mettere in atto insegnanti e dirigenti per prevenire questo tipo di evento? Oppure è impossibile prevederlo?
[RISPOSTA] Tra le decine di “fattori precipitanti” che ho sentito descrivere in questi anni da ragazzi e genitori, pochi erano in realtà veri e propri fenomeni di bullismo. In alcuni casi sì, ma in molti altri si trattava di frasi e atteggiamenti non gradevoli ma che non avevano certo le caratteristiche per poter essere inquadrati come episodi di bullismo.
In questo senso, così come abbiamo giustamente sottolineato i rischi di una sovrapposizione tra ritiro sociale e dipendenza da internet, penso sia utile contrastare la diffusione dell’idea che il ritirato sociale sia sempre stato vittima di episodi di bullismo. A volte si, ma altre no e, comunque, è importante lavorare sul carico di aspettative ideali e su come mai rischino di crollare con le trasformazioni corporee e psichiche dell’adolescenza.
Io penso che gli insegnanti e i dirigenti scolastici debbano impegnarsi, insieme ovviamente ai genitori, nella costruzione di una nuova alleanza tra scuola e famiglia. Un’operazione di contrasto alla società del marketing, della visibilità a tutti i costi e dell’individualismo competitivo che regna nella società odierna. Episodio di bullismo o meno, la realtà è che la scuola è sempre più governata, così come la società, dal potere orientativo dei coetanei e che si tratta di declinare nuove forme di autorevolezza adulta che sappiano affrontare le nuove emergenze educative.
Il ritiro sociale si avvia a partire dalla percezione di non essere all’altezza di aspettative di successo e popolarità nel gruppo classe più che nella mente degli insegnanti. La scuola è chiamata a tenere conto di questo aspetto sia in termini preventivi sia per quanto concerne le opportunità di scolarizzazione da offrire a ragazzi intelligenti, spesso privi di disturbi specifici di apprendimento, ma che alla mattina non riescono a varcare la soglia della scuola e a entrare in classe. Ottimi studenti che non riescono ad essere, o sentirsi, popolari.
In Giappone si pensa che una delle cause dell'hikikomori sia l'assenza della figura paterna nel processo di crescita del figlio, con un conseguente sbilanciamento della relazione genitoriale a carico della madre. Lei a pagina 125 afferma che "non bisogna mai dimenticarsi del padre" quando si tratta di coinvolgere i genitori nel processo diagnostico e terapeutico del figlio.
Anche dal gruppo Genitori di "Hikikomori Italia" emerge una netta maggioranza femminile, rispetto a quella maschile. Secondo lei da cosa è dovuto questo squilibrio? Quali sono le differenze di approccio ad un figlio hikikomori tra madri e padri?
[RISPOSTA] Uno degli elementi che caratterizza la complessità odierna è la crisi dell’autorità paterna, di cui si parla da decenni, e la difficoltà a individuare quale sia la specificità del ruolo del padre e di come possa oggi declinare la propria funzione specifica, non rieditando modelli autoritari impossibili e fortunatamente venuti meno. Credo che questo riguardi, come ho provato a descrivere in un capitolo appositamente dedicato al tema nel libro, anche il tema della virilità e del maschile in generale, non solo del padre.
Detto questo, è noto come l’avvio di un percorso psicologico in adolescenza sia più spesso sostenuto dalla madre che dal padre e come il numero dei padri che collaborano attivamente ai percorsi psicologici dei figli adolescenti sia inferiore a quello delle madri.
A mio avviso, ciò dipende anche da come alcuni servizi, pubblici e privati, pensano e organizzino la propria attività e il dispositivo di presa in carico. Proprio il lavoro clinico con i ragazzi ritirati mi ha dato ulteriore conferma ad una certezza che già avevo, e con me molti altri colleghi: il ruolo del padre è fondamentale per affrontare la crisi evolutiva in adolescenza. Per questo ritengo sia fondamentale coinvolgerlo nel lavoro di consultazione e psicoterapia e per questo penso che sia importante aiutarlo a declinare una funzione nuova, sintonica con le esigenze evolutive del figlio o della figlia in difficoltà.
Sono diversi i casi di ritiro sociale che ho seguito, il cui miglioramento è attribuibile non solo agli sforzi materni ma anche a quelli paterni, nonché alla capacità del padre di adattare l’intervento educativo in funzione del paradigma psicologico condiviso negli incontri con lo psicoterapeuta.
Del resto, nel mio lavoro i principali alleati sono proprio i colleghi che seguono individualmente la madre e il padre, e i genitori stessi. Un capitolo del libro si intitola proprio “Genitori terapeuti” e affronta come nella nostra metodologia di presa in carico la partecipazione del padre e della madre sia fondamentale. Senza il coinvolgimento dei genitori nel setting clinico le cose sono molto più difficili e la risoluzione della crisi evolutiva adolescenziale, a volte, impossibile.
"Il giovane adulto che, sopravvissuto socialmente in adolescenza, crolla al primo o secondo anno del proprio percorso universitario, ritirandosi dalla scene sociali, porta con sé dei ritardi accumulati nella realizzazione dei compiti evolutivi propri della fase di sviluppo appena conclusa, che non sono facilmente recuperabili (p.129)."[...]"Per questo è bene che la presa in carico del sentimento della vergogna e del ritiro sociale si avvii in adolescenza, anche in assenza di decisioni estreme e severe come l'autoreclusione e l'eremitaggio (p.129)."
Quest'ultima affermazione non è di facile interpretazione per un genitore, che potrebbe allarmarsi ingiustificatamente per alcuni comportamenti del figlio che invece possono essere ritenuti fisiologici in adolescenza. Può spiegare più nel dettaglio entro quali limiti le manifestazioni di isolamento sociale di un adolescente sono "normali" e quando invece è necessario che un genitore si rivolga a un professionista?
[RISPOSTA] Non penso che tutti gli adolescenti debbano ricorrere allo psicologo, ma è anche giusto sottolineare come oggi la moderna psicoterapia psicoanalitica dell’adolescente si rivolga alla consultazione e alla presa in carico in modo meno patologizzante che in passato.
Intendo dire che, ad esempio, un modello di consultazione e psicoterapia in una prospettiva evolutiva, inquadra il disagio adolescenziale come forma di espressione di una crisi nella realizzazione dei compiti evolutivi adolescenziali piuttosto che come cura di una patologia. In questo quadro, la consultazione psicologica è un’esperienza non necessaria, ma neanche da pensarsi come soluzione estrema, da avviare solo a seguito di manifestazioni di disagio drammatiche.
Poter dar senso ai conflitti evolutivi, mettere in parola stati d’animo confusi a seguito delle trasformazioni adolescenziali può essere un’operazione utile per il ragazzo e la ragazza così come per la madre e il padre alle prese con i significativi cambiamenti di questa fase dello sviluppo del figlio o della figlia.
Distinguere oggi le nuove normalità dalle nuove forme di espressione di disagio non è certo semplice per un genitore. Pensiamo ad esempio alla “normalizzazione” delle manipolazioni del corpo naturale; quando fanno parte di una modalità odierna di lavorare mentalmente sul corpo e sperimentare la propria identità nascente e quando invece rappresentano una prima manifestazione di difficoltà ad accettare il corpo adolescente che ti è toccato in sorte e di intravedere possibilità per il nascente Sé adolescenziale? Queste, ed altre valutazioni, per noi passano attraverso lo strumento del colloquio, dell’incontro con le rappresentazioni e i vissuti dell’adolescente e dei suoi genitori, temendo conto della specificità della singola storia.
Lo stesso comportamento può segnalare un disagio per un ragazzo e una normalità per un altro, cresciuto in miti affettivi del tutto differenti da quello del suo coetaneo.
Difficile, dunque, dare indicazioni precise ai genitori, senza scivolare nella banalizzazione e in generalizzazioni insopportabili. Per quanto riguarda la tendenza al ritiro, si può forse dire che è molto importante monitorare i processi di socializzazione del figlio con l’arrivo dell’adolescenza, interessandosi non solo dei risultati scolastici ma anche della capacità di integrare una vita di relazione reale e virtuale, così come accade oggi nella società di internet.
Non sempre un figlio che va bene a scuola e legge molti libri, non gioca ai videogiochi e non si interessa ai social, segnala una condizione di benessere. Intercettare i segnali odierni del disagio adolescenziale non è una vicenda semplice e, soprattutto, richiede una funzione adulta attenta alle esigenze evolutive dell’adolescente odierno, piuttosto che forme stereotipate e ideologiche di approccio alla realtà.
L’ascolto attento e una moderna forma di autorevolezza è quello che serve ai genitori, così come agli insegnanti e a tutti gli educatori.